Nell’epoca degli smartphone e dei tablet, della connessione onnipresente e onnipotente, del touchscreen cool e responsive, nuove patologie hanno preso per mano gli uomini. Info-mania e FOMO (Fear Of Missing Out, paura di essere tagliati fuori) sono strettamente correlati alla velocità di accesso alle notizie nazionali, internazionali o – semplicemente – dei nostri conoscenti.
Clayton d’Arnault, fondatore di Digital Culturist, un magazine online sulla cultura digitale, ha raccontato la sua esperienza di info-mania, di cui viene riportata nel seguito la traduzione.
Prova a ricordare quand’è stata l’ultima volta che lo smartphone non è stato la prima cosa che hai guardato la mattina. Io non riesco a ricordare nemmeno una volta che sia successo.
Ogni mattina la mia sveglia suona alle 6.30. Ancora prima di trascinare il mio corpo addormentato via dalla sicurezza delle lenzuola, prendo il mio telefono, lo reggo a qualche millimetro dalla faccia e inizio a scrollare ciò che mi sono perso durante la notte. Questo non è solo l’inizio della mia routine mattutina, ma anche un comportamento abituale che si ripete durante la giornata: controllo ossessivamente, colleziono e consumo contenuti finchè non chiudo gli occhi e provo a disconnettere il mio cervello per la durata della notte. Questo comportamento è chiamato info-mania, ed è definito come “il desiderio compulsivo di controllare o accumulare notizie e informazione, tipicamente via smartphone o computer”.Gli infomaniaci come me sono inclini a provare gli effetti dell’information overload, un fenomeno causato da una dose eccessiva di informazione, di cui abbiamo tracce che risalgono al III secolo d.C., quando la diffusione della scrittura permetteva di registrare e preservare l’informazione più a lungo che con la memoria. Il sovraccarico di informazione è una condizione mentalmente e fisicamente gravosa. I sintomi includono pensiero rallentato, mente piena e creatività bloccata.
Dopo una lunga giornata di consumo digitale mi sento spento. Eppure non importa quanto mi senta sovraccaricato o esausto: continuo a tornare indietro per avere più conoscenza, più aggiornamenti, più meme, più contenuti. Ma non mi resta niente. Piuttosto che assorbire informazione significativa, sto consumando più che posso, più spesso che posso, sto alimentando la FOMO, diciamo. Ogni giorno sembra una battaglia per trovare il giusto bilancio informazione-vita.
Per capire perchè lotto contro l’information overload, ho pensato che sarebbe stato meglio analizzare la causa sottostante.
Capire la causa
Se l’info-mania fosse una ricetta, secondo me sarebbe “due parti di bisogni umani fondamentali e una parte stabile di progresso tecnologico”. Ecco perchè: secondo la gerarchia dei bisogni di Maslow, ci sono cinque stadi che motivano gli essere umani. Due di questi, connessione sociale e auto-realizzazione (in particolar modo la ricerca di conoscenza), chiariscono perchè siamo dipendenti da internet. Internet soddisfa in modo più che sufficiente questi bisogni, fornendoci una connessione illimitata con familiari e amici, amanti e compagni di vita, pensieri, idee, teorie, opinioni, dati e altre risorse inestimabili. E’ la soluzione perfetta: connessione sociale e conoscenza senza fine on demand. In più, creiamo continuamente nuovi modi di estendere gli effetti complessivi di internet sulle nostre vite tramite nuovi dispostivi. Oggi viaggia con noi dappertutto: nelle nostre tasche, sui nostri polsi, nelle nostre macchine e nei nostri elettrodomestici e anche nei nostri corpi (sebbene quest’ultima forma non sia ancora molto mainstream). La tecnologia è così profondamente integrata nella società e nella cultura che la moderna funzionalità umana dipende da essa virtualmente in ogni aspetto delle nostre vite.
Ogni minuto che passa, il Santo Graal dell’informazione diventa rapidamente un ineludibile vortice di informazione. Per darti un’idea di quanto io al momento ci sia dentro, ti do un prospetto recente del mio vortice informativo:
– Ci sono 380 contenuti da leggere salvati sul mio account Pocket (questo dopo le pulizie di primavera!)
– Sono iscritto a 37 podcast (ne ascolto attivamente solo 6… prima o poi ce la farò anche con gli altri)
– Sono iscritto a 17 newsletter
– Seguo 67 feed RSS (di vari argomenti, anche se molti ricondividono gli stessi contenuti)
– Navigo su 7 diverse piattaforme social (Instagram, Facebook, Twitter, Snapchat, Tumblr, Reddit, Medium – considera pure quante sorgenti seguo su ognuna di queste)
– Ho 61 schede salvate sull’estensione OneTab.Nota: questi numeri cambiano ogni giorno.
E’ un sacco di informazione da controllare per una persona sola e in effetti è un compito molto stressante a cui ci sottoponiamo tutti. Se dovessi stimare, direi che passo circa tre quarti della giornata consumando informazione da queste sorgenti – e ci sono andato cauto.
Nel report del 2013 How much Media, la University of Southern California’s Institute for Communication Technology Management affermava che entro il 2015 “si stima che gli Americani consumeranno quasi due mila miliardi (più di 1.7) di ore di media tradizionali e digitali, con una media giornaliera di circa 15,5 ore a testa”. Questo vuol dire che la gran parte della giornata trascorre consumando contenuti. La stima è stata fatta più di tre anni fa e ormai è passato un anno dalla previsione, quindi è lecito assumere che la media corrente sia più alta.
Tutto questo consumo è reso possibile dalla davvero grande vastità di internet. C’è un totale stimato di circa 50 miliardi di pagine web, con i big four (Google, Microsoft, Amazon e Facebook) che condividono circa 1.2 milioni di terabyte di informazione. Per rendere più tangibile la cosa, uno studio del Journal of Interdisciplinary Science Topics afferma che ci vorrebbe il 2% della foresta amazzonica per “stampare Internet”.
Ma potrebbe essere possibile assorbire quella quantità di informazione e usarla in modo intelligente? Paul Reber, un professore di Psicologia alla Northwestern University dice di no. Asserisce che “c’è un collo di bottiglia tra i nostri sensi e la memoria… l’informazione che stiamo sperimentando arriva più velocemente di quanto il sistema di memoria possa conservare“. Anche se gli esperti stimano che il nostro cervello sia fisicamente capace di memorizzare un paio di petabyte di memoria (un milione di gigabyte), il cervello medio è mentalmente inabile a immagazzinare tutta l’informazione a cui è sottoposto giorno dopo giorno. Infatti, ne conserviamo e usiamo forse il 50%, secondo Dimitrios Tsivrikos, Consumer and Business Psychologist al University College London.
E’ una sensazione intossicante sapere che ho un’indispensabile sorgente di conoscenza sulle punte delle mie dita e la posso usare a mio vantaggio in ogni momento, in ogni posto. Ma il semplice fatto che la persona media non ha la capacità mentale di utilizzare questa risorsa inestimabile in tutto il suo potenziale, mi fa chiedere quali siano i suoi effetti come forza trainante della nostra società e cultura… ho scoperto che il modo in cui può alterare i meccanismi interni alla mente è veramente diabolico.
Capire gli effetti
Ora che so fino a che punto annego nell’informazione, la prossima domanda è: che cosa fa tutta questa informazione per me, o meglio, a me? Alcuni, come Nicholas Carr, l’autore best-selling di The Shallows, crede che ci renda stupidi. Carr crede che la tecnologia e Internet siano strumenti di distrazione intenzionale. Finchè accelera il flusso di informazioni, la mente si adatta per riuscire a starci dietro, affrettando così la cognizione e riducendo – di conseguenza – l’ampiezza dell’attenzione. Il risultato è che la mente non ha tempo di assorbire significativamente l’informazione e lo stato cognitivo diventa logoro. Difficilmente dunque questo risultato corrisponde alla situazione mentale ideale in una cultura che si vanta di offrire conoscenza a portata di mano. Non posso dire di essere completamente in disaccordo con Carr, tuttavia non direi che la tecnologia ci rende più stupidi, ma che le promesse della tecnologia di eliminare gli sforzi ci stanno rendendo compiacenti.
Concentrazione diminuita
Da bambino, riuscivo a leggere la serie di Harry Potter dall’inizio alla fine. Adesso è proprio come dice Carr: “La lettura approfondita che prima ci veniva naturale ora è una lotta“. Sembra che la mia infomania si sia portata via la mia capacità di concentrazione. Non riesco a concentrarmi su un articolo per più di qualche minuto alla volta senza controllare il mio telefono o aprire una nuova scheda su Chrome e scomparire dietro una trafila di click. Devo consciamente forzare me stesso a finire di leggere un pezzo più lungo di 500 parole. Ho l’abitudine di scrollare alla fine di un articolo per capire quanto mi manca e poi capire se lo finirò, lo leggerò per sommi capi, o passerò oltre. Potresti riuscire a immedesimarti, considerando che in media i lettori raramente riescono a finire completamente un articolo. In uno studio condotto dal Nielsen Norman Group si è scoperto che:
“la page view media contiene 593 parole. Quindi in media, se il tempo trascorso con gli occhi davanti ad un contenuto fosse occupato tutto leggendo, gli utenti leggerebbero il 28% delle parole. Più realisticamente gli utenti leggono il 20% del testo“
Il che significa, se la stastica non inganna, che la maggior parte di voi non arriverà in fondo all’articolo. Non ti preoccupare, non ti sto accusando. Oggi siamo afflitti da interruzioni esterne e interne. A un certo punto nella lettura di questo pezzo probabilmente riceverai qualche tipo di notifica mobile che distrarrà la tua attenzione (distrazione esterna). O forse perderai proprio l’interesse e te ne andrai o controllerai il telefono e ti butterai nei social media (distrazione interna). Parliamoci chiaro, probabilmente finirai a controllare subconsciamente il telefono in più di un’occasione mentre leggi, anche senza avere il chiaro proposito di usare il tuo telefono. Non mi credi? Secondo Business Insider, un utente medio di iPhone sblocca il telefono 80 volte al giorno, mentre un utente Android 110 volte al giorno, che significa una volta ogni circa 10 minuti, molte volte senza motivo, se non l’abitudine. In più, la durata media dell’attenzione nel 2015 è stata di 8.25 secondi: 0.75 secondi meno della durata della memoria di un pesce rosso, forse uno degli esseri meno consci a cui possa pensare.
A giudicare dalle statistiche, la tecnologia e il suo costante flusso di informazione stanno significativamente plasmando le nostre abilità per indurle a funzionare al loro ritmo di efficienza e istantaneità . Lo stato mentale che ne consegue è chiamato distrazione cronica.
Distrazione costante
La distrazione arriva qualsiasi cosa io faccia. Notifiche dell’informazione che mi sto perdendo riaccendono continuamente la mia attenzione, inducendomi a scomparire nelle profondità di Facebook, Twitter, Reddit, Tumblr, e Digg, per scoprire più pensieri, idee e ispirazioni. Perciò, posso concentrarmi raramente su un compito senza perdermi in un altro… mentre la mia mente schizza da un’idea alla successiva senza preavviso. Un momento sto lavorando su questo pezzo su un impeto d’ispirazione, un momento dopo sto ricercando un nuovo argomento per un altro pezzo e finisco a lavorare sul design del logo di un altro dei miei progetti.
Gloria Mark, una Professoressa del Department of Informatics at the University of California, mette questo comportamento in prospettiva. I suoi studi sulle interruzioni dimostrano che impariamo ad aspettarci l’interruzione periodica e la distrazione; di conseguenza acceleriamo le menti per compensare. Viene fuori che una persona cambia compito ogni tre minuti (circa metà di questi switch sono causati da auto-interruzioni) e interi progetti ogni 10,5 minuti in media.
Al contrario, ci vogliono 23 minuti e 15 secondi per riconcentrarsi su un compito o un progetto. Metti questo insieme con la nostra snervantemente instabile attenzione: è un miracolo che riusciamo a fare qualcosa!Per contrastare ciò, ho preso l’abitudine di segnare le mie idee improvvise e le cose da fare a mano a mano che mi vengono in mente, nel tentativo di affrontare un compito alla volta. Sono il fiero possessore di una lista di arretrati di idee per potenziali articoli e più di una to-do list corrente. Invece di aumentare la mia produttività , ho scoperto che scrivere queste idee mi seppellisce più profondamente nel “debito d’idea” (idea debt). Via via che aggiungo punti alla lista, diventa sempre più difficile gestire le mie priorità , visto che la mia attenzione salta da un compito all’altro. Ogni nuova idea mi causa un cambio di priorità , allontanando un altro compito dal traguardo.
Una mente assente
Inoltre ogni compito non completato e ogni idea appena sviluppata diminuiscono la mia capacità di memoria. Ultimamente tendo a dimenticare cose che ho fatto o detto in pochi minuti oppure dimentico di averle fatte o dette. Mi ritrovo spesso a perdere il mio treno di pensieri, perdendomi in insolitamente lunghi “uhmmm…” e pause durante le conversazioni, provocando sguardi impazienti negli interlocutori. Mi sembra di essere più ripetitivo del solito (come la mia fidanzata può attestare) e piccoli, abituali, compiti (come chiudere la porta d’ingresso), si perdono tra i molti da-fare mulinanti nella mia testa. Per esempio, l’altro giorno stavo raccontando un episodio divertente e la mia ragazza mi ha interrotto “Lo so, me l’hai raccontato mille volte!!”. Oppure mi è capitato più volte di non ricordarmi se avevo chiuso la porta del mio appartamento al quarto piano, così ho fatto quattro rampe di scale per scoprire che era perfettamente chiusa. Ogni volta ho fatto tardi al lavoro.
Mi sono accorto, con sollievo, che questa sensazione di amnesia auto-indotta fa parte dell’effetto Zeigarnik: la tendenza a sperimentare promemoria mentali asfissianti subconsci per stringere nessi allentati. Bulma Zeigarnik, la psicologa da cui il fenomeno prende nome, ha dimostrato che le persone sono più inclini a ricordare compiti incompleti: i compiti completati si perdono tra gli incompleti.
Tim Harford, autore di “Multi-tasking: come sopravvivere nel 21esimo secolo” afferma:
“Passiamo da un’occupazione all’altra perchè non riusciamo a dimenticare tutte le cose che non abbiamo finito. Passiamo da un compito all’altro perchè stiamo provando a zittire le voci asfissianti nella nostra testa.”Potremmo dire che i nostri cervelli, come la maggior parte della tecnologia, funzionano con loop condizionali (se.. allora..) per completare compiti. Ogni volta che ci mettiamo a fare qualcosa, accendiamo un nuovo loop nelle nostre menti che non si può arrestare finchè certi criteri non sono soddisfatti. E’ soltanto una parte della vita tecnologizzata che viviamo, dice Harford:
“La vita moderna ci invita continuamente ad aprire nuovi loop. Non sempre abbiamo più lavoro da fare, ma in ogni momento abbiamo più tipi di lavoro che dovremmo fare. Le attività si fondono implacabilmente l’una nell’altra. Qualsiasi cosa facciamo, non possiamo fuggire dal senso che forse dovremmo fare qualcos’altro. Sono queste possibilità in sovrapposizione che esauriscono la mente“.Creatività soffocata
Ultimamente mi sono accorto che il sovraccarico informativo influisce sul mio processo creativo. Il rumore costante aumenta stress, frustrazione e sforzo mentale, ma – soprattutto – diminuisce la mia abilità di pensare in profondità . I miei pensieri sono diventati superficiali, il che soffoca la mia abilità nel produrre pensieri originali e creativi.
Personalmente potrei dire che la quantità soverchiante di contenuti (e il fatto che si somiglino tutti) rende molto difficile canalizzare in modo efficace la mia creatività . Come scrittore, consumare più brani al giorno è, in un certo senso, scoraggiante. Mi trovo a dubitare delle mie capacità di scrittura perchè mi sembra di dover mimare gli stili e gli argomenti degli altri per attirare l’attenzione. Ho capito che è difficile formulare idee originali quando sono seppellito nell’ispirazione; inoltre, più cose tutte uguali consumerai, più cose tutte uguali produrrai. Per esempio, potresti considerare questo articolo come la pubblicazione dei soliti pensieri. L’information overload è un tema inflazionato, eppure sento comunque il bisogno di condividere le mie idee. Non perchè ho qualcosa di completamente originale da dire, ma perchè ho i mezzi per condividerlo.
Ma come è possibile? Come può la creatività essere soffocata proprio da ciò che concede le oppportunità creative che abbiamo oggi? La tecnologia è comunemente vista come il fornitore dei mezzi per creare. Non sono in disaccordo, ma considera che:
La tecnologia permette a ciascuno di creare lavori “di qualità ” con enorme facilità . Oggi chiunque può essere creativo, coadiuvato dalle tecnologie che fanno gran parte del lavoro creativo per noi. In “The filter fubble”, Rhodri Mardsen sostiene che la rinascita creativa permessa da queste tecnologie “appare un po’ vuota”, visto che ci prendiamo il merito di creatività prodotta dall’ingenuità tecnologica sotto forma di template, filtri e altre strutture predeterminate. La facilità con cui ci permette di creare finisce per distorcere la percezione di cosa sia realmente la creatività : la capacità di trasformare idee originali in esperienze umane riflessive che ispirano nuovo idee. La tecnologia permette anche ad ognuno di esporre il suo lavoro. Con la connettività diffusa e la crescita esponenziale di contenuto permesso dall’ingenuità tecnologica, internet instilla una guida subconscia “come fare” per la creazione, il che significa che la vera creatività può essere facilmente spazzata via dalle ondate di omogeneità .
Come puoi essere creativo se le tue abilità creative vengono dalla tecnologia e l’ispirazione è uguale a quella di qualsiasi altro?
Inoltre, la velocità con cui l’informazione è creata e condivisa determina la rapidità con cui viene consumata. Questo incoraggia una cultura superficiale che scorre, taglia e divide il contenuto in picccoli pezzi digeribili che mancano di profondità . Il tutto mentre la tecnologia viene utilizzata come stampella creativa per creare questi contenuti.
Non c’è dunque spazio per sviluppare un’idea. Un tweet, ad esempio, è limitato a 140 caratteri, il che limita la mia abilità di espandere l’idea. Mi ri-trovo spesso a sforzarmi per accorciare i tweet, dato che spesso i miei pensieri sono molto più estesi di 140 caratteri! La mia mente si è adattata al metodo di lettura-scrittura conciso dell’età digitale, piuttosto che al pensiero creativo profondo.
Quel che resta
Alcuni mesi fa ho preso parte a Infomagical, un esperimento ideato dal podcast WNYC Note to Self. Lo scopo di questo esperimento è “trasformare i tuoi portali informativi in macchine per combattere l’overload”. Ha funzionato. Dopo una settimana piena di sfide sul consumo di informazione e il monitoraggio dei miei progressi, mi sono sentito purificato, concentrato, organizzato e più creativo. Mi sono sentito come se qualcuno avesse preso il mio cervello e l’avesse spremuto come una spugna zuppa, rinfrescato e pronto per affrontare la prossima cosa. Mi sono preso finalmente carico del mio problema con l’informazione. Dopo tutto questo tempo in cui ho trascinato fiaccamente il mio cervello nella nebbia, forzandolo a consumare quantità copiose di informazione ogni volta che la tecnologia mi diceva di farlo, tutto quel che c’era da fare era staccare la spina e rivalutare cosa volevo ottenere dall’informazione che stavo consumando.
Tuttavia devo sottolinare che non sono in alcun modo curato dal mio bisogno di informazione. Sono ricaduto vittima dell’info-mania alcune volte dopo aver completato Infomagical, ma ora so come tenerla sotto controllo. Non penso che l’information overload possa essere risolto, è qualcosa che deve essere gestito. E per gestirlo in modo efficace, devi capire come funziona.
Nella cultura digitale odierna, stiamo incorporando la tecnologia in ogni cosa per rendere le nostre vite più efficaci e produttive, rendendola praticamente ineludibile. Tuttavia è imperativo capire le conseguenze delle nostre azioni. Non c’è dubbio che ci siano benefici inestimabili dalla tecnologia (se non ci fose, non avresti nemmeno potuto leggere questo post) ma è importanto sapere quando staccare la spina, ricaricare e ristabilire la nostra umanità . Come per ogni cosa nelle nostre vite, ciò che conta di più è bilanciare.
A conclusione di questo articolo dirò che durante il mio viaggio mi sono accorto che la tecnologia ti controlla se tu glielo permetti. Come dice Adam Gopnik in “The Information”:
“I pensieri sono più grandi delle cose su cui viaggiano. Le nostre macchine potranno plasmare la nostra coscienza, ma è la nostra coscienza che crea i nostri valori e noi viviamo soprattutto per quelli”.
Ci sono centinaia di modi per disconnettersi e prendere una pausa dall’informazione, quindi non perderò tempo a spiegarli. Dirò anche che, come tutti coloro che dipendono fortemente dalla tecnologia, non seguo alla lettera i miei stessi consigli. Alla fine il punto non è disconnettersi, ma capire perchè abbiamo bisogno di disconnetterci: abbiamo bisogno di apprezzare la costante della vita così com’è, senza tecnologia. Credo che capirlo, filtrando tutto il superfluo, possa portare ad un tipo di ispirazione e visione più soddisfacente… potresti persino finire per beneficiare dell’immenso tesoro informativo che chiamiamo Internet!