Si riporta di seguito un estratto dell’articolo “Silicon Valley parents are raising their kids tech-free — and it should be a red flag” di Chris Weller, pubblicato su Business Insider. L’articolo è il risultato di un’inchiesta giornalistica sul rapporto tra smartphone ed educazione familiare nell’esperienza di genitori hi-tech della Silicon Valley.
Sono le 9 di mattina a Sunnyvale, in California, e Minni Shahi sta andando al lavoro nel quartier generale di Apple a Cupertino. Suo marito, Vijay Koduri, ex dipendente di Google, sta incontrando il suo socio allo Starbucks locale per discutere della loro startup HashCut, che realizza una app per l’editing di video su YouTube.
I due bambini di Shahi e Koduri, Saurav (10 anni) e Roshni (12 anni), sono già stati accompagnati a scuola e probabilmente sono assorti in uno dei Google Chromebooks (computer portatile) distribuiti all’inizio dell’anno scolastico.
La vita dei Koduri è quella della tipica famiglia della Silicon Valley, eccetto che per una cosa: la tecnologia sviluppata dai datori di lavoro di Koduri e Shahi è del tutto bandita nella loro casa.
Non ci sono sistemi di videogiochi in casa Koduri e i bambini non hanno ancora nemmeno il loro smartphone personale. Saurav e Roshni possono giocare sui telefoni dei genitori, ma solo per 10 minuti a settimana (non ci sono invece limitazioni a utilizzare la vasta collezione di giochi da tavolo familiari). Un po’ di tempo fa la famiglia ha comprato un iPad 2… che ha trascorso gli ultimi cinque anni sullo scaffale più alto di un armadio.
“Sappiamo che ad un certo punto avranno bisogno dei loro smartphone personali”, dice Koduri, 44 anni, a Business Insider. “Ma stiamo cercando di rimandare il più possibile”.
Buoni o cattivi: la tecnologia da che parte sta?
Koduri e Shahi rappresentano un nuovo tipo di genitori della Silicon Valley. Invece di addobbare le loro case con ogni nuovo prodotto tecnologico, molti dei genitori di oggi, che lavorano o vivono nel mondo della tecnologia, stanno limitando – e a volte addirittura vietando del tutto – il tempo che i loro bambini passano sugli schermi.
L’approccio deriva dal fatto che i genitori vedono direttamente, sia attraverso il loro lavoro che semplicemente vivendo nella San Francisco Bay (una regione che ospita le compagnie più prestigiose della Terra) quanto tempo e quanti sforzi sono impiegati nel rendere la tecnologia digitale irresistibile.
Uno studio del 2017, condotto dalla Silicon Valley Community Foundation, ha trovato che tra 907 genitori della Silicon Valley, nonostante l’elevata fiducia nei benefici della tecnologia, molti hanno seri dubbi sull’impatto della tecnologia sullo sviluppo psicologico e sociale dei bambini.
“Non puoi ficcare la testa su un dispositivo e aspettarti lo sviluppo dell’attenzione di lunga durata” dice a Business Insider Taewoo Kim, capo ingegnere AI (artificial intelligence) della startup di machine learning One Smart Lab. Buddista praticante, Kim sta insegnando ai suoi nipoti, in età 4-11 anni, a meditare e ad approcciarsi a giochi e puzzle senza schermi. Una volta all’anno i bambini fanno esperienza di ritiri silenziosi tech-free nei vicini templi buddisti.
Ex dipendenti delle maggiori aziende tecnologiche, tra cui alcuni dirigenti di alto livello, hanno pubblicamente condannato l’intensa focalizzazione delle aziende nel creare prodotti tecnologici che inducono dipendenza. Il dibattito ha stimolato ulteriori studi nelle comunità di psicologi, e una graduale consapevolezza delle famiglie del fatto che il palmo di un bambino non è il posto giusto per un dispositivo così potente come uno smartphone.
“Le aziende tecnologiche sanno che prima porti bambini, adolescenti e teenager a usare le tue piattaforme, più è facile che ne restino dipendenti per tutta la vita” dice Koduri a Business Insider. Continua: “Non è una coincidenza che Google si sia fatto strada nelle scuole con Google Docs, Google Sheets e la suite per la gestione dell’apprendimento Google Classroom”.
Trasformare i bambini in consumatori fedeli di prodotti dannosi non è esattamente una strategia innovativa. Alcuni studi mostrano che le più grandi compagnie di tabacco spendono circa 9 miliardi di dollari all’anno (24 milioni al giorno) per pubblicizzare i loro prodotti, con l’obiettivo che la nuova generazione li usi per tutta la vita. Lo stesso principio aiuta a capire perchè le catene di fast-food offrono pasti per bambini: la fedeltà al brand è redditizia.
“La differenza con Google è che loro non pensano di essere pericolosi”, dice Koduri e: “Google di sicuro pensa ‘Hey, noi siamo i buoni. Noi stiamo aiutando i bambini, le scuole e sono sicuro che fanno così anche Apple e Microsoft”.
San Francisco, la patria del malessere dello scroll
Erika Boissiere ha pochi dubbi sul fatto che la tecnologia sia veleno per i cervelli giovani. La 37enne, mamma di due bambini a San Francisco, lavora come terapista di famiglia insieme a suo marito. Dice che entrambi si sforzano di stare al passo con le ricerche sugli effetti del tempo trascorso su smartphone e altri schermi. Le ricerche, benchè prive di dati sul lungo termine, hanno già dimostrato conseguenze sul breve termine in teenager e adolescenti che utilizzano molto la tecnologia: maggiore rischio di depressione, ansia e, in casi estremi, suicidio.
Molti dei genitori con cui lei e suo marito interlocuiscono raccontano di provare un sentimento anti-tech.
Anche solo per il fatto di vivere nell’epicentro del mondo tecnologico, la coppia ha i “posti in prima fila” per quello che la Boissiere chiama il malessere dello scrollare.
Boissiere farà di tutto per impedire che i suoi bambini, Jack (2 anni) ed Elise (5 anni) abbiano le interazioni ‘basic’ con la tecnologia. Lei e suo marito non hanno una TV in casa ed evitano di usare lo smartphone in presenza dei bambini. Una regola stringente questa, che chiedono di rispettare anche alla babysitter 28enne. La coppia ha trovato una strategia che li aiuta a non sgarrare: quando tornano a casa dal lavoro, mettono gli smartphone vicino alla porta. La maggior parte delle sere controllano lo smartphone una o due volte prima di andare a dormire, ma capita che lei lo guardi più volte. E’capitato più di una volta che i suoi bambini siano entrati nella stanza mentre messaggiava, è corsa quindi a nascondersi nel bagno più vicino.
Educazione low-tech in Silicon Valley: un paradosso?
I genitori della Silicon Valley low-tech e anti-tech potrebbero sembrare troppo cauti, ma in realtà seguono pratiche di lunga data di ex e attuali giganti della tecnologia come Bill Gates, Steve Jobs e Tim Cook.
Nel 2007, Gates, ex CEO di Microsoft, ha implementato un limite allo screen time quando sua figlia ha incominciato a sviluppare un insano attaccamento ai videogiochi. Più tardi diventerà una prassi familiare di casa Gates quella di non permettere ai bambini di avere il proprio smartphone prima dei 14 anni. Oggi il bambino americano medio ottiene il suo primo smartphone a circa 10 anni.
Nel 2011 Jobs, il CEO di Apple, prima della sua morte, ha rivelato in un’intervista al New York Times che lui proibiva ai suoi bambini di usare l’iPad, al tempo appena uscito, “Noi limitiamo la tecnologia che i nostri figli usano a casa”, disse Jobs al reporter Nick Bilton.
Anche Cook, l’attuale CEO di Apple, ha detto a gennaio che lui non accetta che suo nipote si colleghi ai social network. Il commento ha seguito quello di altri luminari della tecnologia, che hanno condannato i social media come detrimento per la società.
Cook in seguito ha riconosciuto che i prodotti Apple non sono pensati per un uso costante. “Non sono una persona che dice che abbiamo raggiunto il successo se voi li usate continuamente” ha detto. “Non lo condivido per niente”.
La buona notizia: se ne può uscire
Un lato positivo del problema è che almeno una parte degli effetti negativi sembra non essere permanente.
Uno degli studi più ottimistici, spesso citato dagli psicologi, è stato pubblicato nel 2014 sulla rivista scientifica Computers in Human Behavior. Ha coinvolto circa 100 preadolescenti, la metà dei quali ha passato cinque giorni in un ritiro privo di tecnologia, impegnati in attività come tiro con l’arco, arrampicata e orienteering. L’altra metà è rimasta a casa come gruppo di controllo della ricerca sperimentale.
Dopo soli cinque giorni trascorsi in ritiro naturale tech-free, i ricercatori hanno evidenziato enormi miglioramenti nei livelli di empatia tra i ragazzi partecipanti. Quelli nel gruppo sperimentale hanno cominciato a ottenere valutazioni più alte nella loro espressività non-verbale, sorridendo più spesso ai successi degli altri ragazzi o mostrandosi preoccupati per qualche brutta caduta altrui.
I ricercatori concludevano: “I risultati di questo studio dovrebbero introdurre un sentito dibattito sociale sui costi e benefici dell’enorme quantità di tempo che i ragazzi passano su smartphone e altri schermi, sia in classe che fuori”.
USA, nuove scuole abbracciano la filosofia low-tech
Non tutti i genitori che crescono i loro figli in modo low-tech riescono a mantenere gli stessi standard quando li mandano a scuola. I figli dei Koduri, ad esempio, condividono un Macbook Air per i compiti e usano i Google Chromebook a scuola.
Ma tutto intorno alla Silicon Valley stanno sorgendo un certo numero di scuole low-tech, nel tentativo di tornare alle radici. Alla Waldorf School of the Peninsula, una scuola privata a Los Altos (California), i bambini usano lavagne e matite (n.d.t.: evidentemente in America non è più così comune!) e i dispositivi a schermo non vengono introdotti prima dei 13 anni. Alla Brightworks School, una scuola privata di San Francisco, i ragazzi esercitano la creatività usando utensili, smontando radio e frequentando lezioni tenute in case sugli alberi.
Nel frattempo in molte scuole pubbliche la tecnologia è diventata una forza trainante, dicono gli educatori Joe Clement e Matt Miles. Nel loro libro “Screen Schooled” (2017), gli autori portano avanti l’idea che la tecnologia a scuola faccia più male che bene, anche quando viene utilizzata per aumentare i punteggi nei test standardizzati di matematica e comprensione del testo. “È interessante pensare-scrivono gli autori- che in una scuola pubblica moderna, dove si chiede ai ragazzi di usare dispositivi elettronici come gli smartphone, i figli di Steve Jobs sarebbero stati tra i pochissimi a cambiare scuola”. Clement e Miles si chiedono: “Cos’è che questi benestanti dirigenti tech sanno sui loro prodotti che i consumatori non sanno?”.
Gli smartphone nella vita in famiglia
Nella parte occidentale della Baia di San Francisco, a San Mateo, l’imprenditrice tecnologica Amy Pressman (cofondatrice e presidente dell’azienda software Medallia) vive con suo marito e i suoi due figli, la quattordicenne Mia e il sedicenne Jacob. Il suo figlio più grande, Brian, ha 20 anni ed è al secondo anno del college.
Anche se non ha il controllo di cosa faccia Brian quando è a scuola, in casa Pressman è molto severa. Non ci sono dispositivi elettronici sul tavolo a cena. Dopo le 10 di sera, i ragazzi devono consegnare i loro smartphone e lasciarli in carica in cucina durante la notte. Si gioca ai videogame solo 5-7 ore a settimana.
Come Koduri, che ricorda con nostalgia quando giocava fuori da bambino, adesso Pressman cresce i suoi figli con quell’idea in testa: vorrebbe tornare a un mondo più analogico. “I bambini non vanno fuori a giocare” dice Pressman a Business Insider. “Il mio figlio più grande è stato molto più tempo in compagnia dei suoi coetanei di quanto farà il più piccolo”.
Negli ultimi anni, la famiglia ha fatto progressi nel trascorrere del tempo insieme. A differenza delle tante famiglie che rientrano a casa e si piazzano in stanze diverse, con gli occhi incollati ai dispositivi elettronici, adesso vanno a teatro oppure vanno a prendere un gelato dalla miglior gelateria di San Francisco.
Pressman racconta di aver organizzato una gita di un weekend alla Death Valley (un Parco nazionale in California). La scarsità di porte USB per la ricarica e di Wifi sono state attrattive a favore della scelta della destinazione. “La connettività era qualcosa di abbastanza orribile”, dice Amy. “..E ciò era delizioso.”
Le regole sono dure, ma potrebbero valere la pena
Pressman e altri genitori hanno detto a Business Insider che non è facile trovare un equilibrio nel limitare l’uso della tecnologia, soprattutto perchè i bambini cominciano a sentirsi tagliati fuori dal gruppo di coetanei. Più a lungo i genitori cercano di imporre le loro restrizioni, più temono di crescere essenzialmente degli emarginati.
“Non ho un esempio di come avere a che fare con questo mondo” dice la Pressman. “Questo mondo non esisteva quando io stavo crescendo, e le restrizioni che i miei genitori stabilivano sull’uso della TV non hanno senso nel mondo della tecnologia in cui il computer è contemporaneamente il tuo divertimento, i tuoi compiti a casa e la tua enciclopedia.”
Molti genitori che hanno parlato a Business Insider hanno detto che la loro migliore difesa dalla dipendenza dalla tecnologia è introdurre delle attività di rimpiazzo o trovare strategie per usare la tecnologia in modo più produttivo. Quando la siccità della California ha rovinato il giardino di Koduri, lui ha riempito l’appezzamento di cemento e ha costruito un campo da basket, che usano i suoi figli e i loro amici. Quando la Pressman ha notato che a sua figlia interessavano i computer, si sono iscritte ad un corso di programmazione insieme.
Questi genitori sperano di riuscire a insegnare ai loro figli come entrare nel mondo adulto, sviluppando un modo sano di usare – e in certi casi, di evitare – la tecnologia. Di tanto in tanto, dicono, si vede un barlume di speranza.
Negli anni in cui la Pressman si è impegnata per sensibilizzare le persone in favore di una riduzione dell’utilizzo della tecnologia, suo figlio maggiore ha iniziato a cogliere il senso di tagliare il tempo sugli schermi. Come studente di Matematica, preferisce utilizzare i libri cartacei perchè si è accorto che le versione digitali disturbano la concentrazione.
Pressman ricorda di come l’anno precedente, durante un lungo viaggio in famiglia, suo figlio abbia sorpreso tutti con qualcosa che raramente i genitori non vogliono ascoltare: un’ammissione di errore. “Lo sai che inveisci sempre contro i social media e ho sempre pensato che avessi torto?” disse Brian, riferendosi alle tante prediche sulle interazioni umane “reali”. “Beh, sto incominciando a pensare che hai ragione.”