Liberamente tratto da “How Exhaustion Became a Status Symbol”, Hannah Rosefield su New Republic, 25/07/2016
Sfinimento, esaurimento.. concetti così vasti e vaghi da comprendere tanto “ho passato un paio di brutte notti” quanto un cedimento di nervi.
Spesso utilizzato da celebrità e persone in carriera, quasi come intercalare o come pubblica motivazione per un periodo di pausa, sembra essere un problema moderno. Ma la questione è più complessa; rilevante è che lo sfinimento-esaurimento, tenendo lontano dall’azione, ha assunto il doppio significato di debolezza e, al contempo, di segno distintivo di onorabilità.
Papa Benedetto XVI, emblema della nostra società
Anna Katharina Schaffner, docente all’Università del Kent, ha scritto “Exhaustion: A History”. Il libro inizia ricordando le dimissioni nel 2013 di Papa Benedetto XVI, motivate dal deterioramento fisico e psichico per le richieste stringenti che facevano capo a lui. Soltanto un altro papa si dimise spontaneamente, Celestino V nel 1294, con motivazioni molto simili a quelle di Benedetto XVI.
Esaurimento e sfinimento attraverso i secoli
Per Galeno (129-201), medico greco, la cui influenza dura sino al Rinascimento, lo sfinimento-esaurimento si manifesta con “letargia, torpore, affaticamento, indolenza e perdita di energia”, sintomi di melancolia, prodotta da un eccesso della bile nera. Secondo Galeno quindi la melaconcolia è causata da un’alterazione fisica.
Nei secoli II-VIII, l’interpretazione fu più spirituale che medica. L’esaurimento era manifestazione della perdita di fede e dell’incapacità di sentire e partecipare alla goia della creazione di Dio. Nel caso dei monaci, la malattia spirituale era trattata con un intervento generale più che individuale. Infatti una comunità funziona solo se tutti i membri portano i loro pesi e adempiono ai propri doveri! Ed ecco quindi che lo sfinimento diventa non solo deplorevole, ma anche….peccaminoso.
Nel Rinascimento la melancolia era associata all’influenza di Saturno.
Nella seconda metà del XIX secolo, il concetto diagnostico di melancolia è stato assunto nel concetto di nevrastenia, causata da nervi deboli o esausti.
Nel XX secolo “nevrastenia” fu la diagnosi per sfinimento, ansia, malumore, fobie, febbre da fieno, ipersensibilità. In realtà melancolia e nevrastenia non si sovrappongono tra loro e nemmeno con la depressione. Tuttavia molte situazioni, in passato diagnosticate come malancolia e nevrastenia, avrebbero oggi la diagnosi di “depressione“.
Capitalismo e tecnologia
Il tardo capitalismo e la tecnologia moderna sembrano costituire un’autostrada per l’esaurimento. L‘industrializzazione ha cambiato radicalmente i ritmi lavorativi, mettendo i lavoratori alla mercè delle macchine e del tempo dell’orologio, cambiando i pattern del sonno e sfinendoli fisicamente e mentalmente.
Nel XIX secolo si parlò di “forza dei nervi” nello stesso modo in cui si parlava del capitale: «Puoi risparmiare la forza dei nervi o spenderla, ma una volta che è andata, è andata»
Dal XVIII secolo medici e filosofi iniziarono ad interpretare l’esaurimento, non come debolezza del singolo individuo ma come un effetto dei cambiamenti della società. Tuttavia spesso chi si è maggiormente preoccupato delle “epidemie di esaurimento” era un conservatore, che si rifaceva a modi più antichi e anche spirituali per affrontare il problema.
Un segno distintivo: dalla grandiosità al burnout
L’idea che lo sfinimento-esaurimento possa essere onorabile segno distintivo risale ad Aristotele, che nei Problemata si domandava: «Come mai tutti gli uomini che sono diventati grandi in Filosofia, Politica, Poesia e nelle Arti sono melancolici?»
Il neurologo americano George M. Beard, eminente teorico della nevrastenia, ha associato lo sfinimento-esaumento alla middle-upper class, descrivendo nel 1881 il tipo nevrastenico come avente «pelle sottile con peli morbidi, delicata, lineamenti graziosamente cesellati, ossa piccole… E’ il tipo civilizzato, raffinato, istruito, più che che il barbaro incolto di umili origini.»
Ecco dunque spiegato il fascino della nevrastenia, che prometteva e sanciva la superiorità di coloro che la ravvedevano in se stessi; i medici adulavano i pazienti mentre li trattavano.
Oggi l’esaurimento è ancora indice di status, ma di un tipo diverso. Dire che sei esausto è come telegrafare che sei importante, richiesto e di successo. E’ come vantarsi in modo modesto di essere «… così impegnati!» ….. ovvio!, dato che ai nostri giorni l’interpretazione dell’esaurimento è “conseguenza diretta di impegni eccessivi”
La Schaffner evidenzia come l’associazione esaurimento-prestigio si sia cristallizzata nel burnout.
Negli anni ’70 il termine burnout indicava l’esaurimento dei lavoratori impiegati nel settore sociale, ed era caratterizzato da un aumento di cinismo e apatia con riduzione del senso di realizzazione personale.
Nel corso degli anni, in questa categoria sono stati inclusi tutti i lavoratori sovraccaricati, consumati.
Il burnout, causato dalle condizioni lavorative piuttosto che da un profilo psico-fisico del lavoratore, sarebbe la versione più “prestigiosa” della depressione. E in Germania, Svezia e Olanda è oggetto di periodico dibattito mediatico.
Il divario tra teoria ed esperienza di esaurimento nell’affaticamento cronico
La Schaffner indica, come massimo divario tra teoria ed esperienza, il caso dell’affaticamento cronico.
Medici e ricercatori concordano sull’esistenza di uno scatenante microbiologico per la sindrome da affaticamento cronico, che insorge spesso dopo una forma febbrile. Ma concordano anche sul fatto che le risposte comportamentali e psicologiche dei pazienti tendano a perpetuare la condizione. Detto in altre parole, la sindrome da affaticamento cronico sarebbe una malattia psicologica con sintomi fisici.
Ma la maggior parte dei pazienti, spesso costretti a casa senza poter svolgere attività semplici per lo sfinimento debilitante, non sente di avere un problema psicologico. Nel loro vissuto la sindrome da affaticamento cronico è una malattia fisica e soltanto fisica.
Lo storico della Medicina Edward Shorter sostiene che i pazienti assorbono l’immaginario medico e culturale del loro tempo e inconsciamente sviluppano sintomi psicosomatici che i medici prenderanno in considerazione.
Secondo Shorter dunque l’affaticamento cronico potrebbe essere una sindrome da conversione, con sintomi soggettivi (fatica, dolore muscolare) impossibili da smentire e in linea con quello che i «medici, sotto l’influenza del paradigma del sistema nervoso centrale si aspettano di vedere».
La narrazione dell’esperienza di esaurimento
I molti racconti autobiografici del vissuto di malattia correlato all’esaurimento riportati nel libro della Schaffner sottolineano il grande divario tra teoria e sperimentazione degli stati psicologici.
Andrew Solomon, in «The Noonday Demon: An Atlas of Depression” descrive la depressione che cresce in lui come un’edera che cresce su una quercia circondando l’albero fino a che da lontano non sono più distinguibili separatamente.
Nessuno dei modelli medici che la Schaffner cita si avvicina al senso di soffocamento e di “inaiutabilità” vissuto dal soggetto. Ma nemmeno i grandi lavori letterari che raffigurano personaggi con esaurimento (Divina Commedia e Canterbury Tales) riescono nel compito. Molto spesso, fino al XVIII secolo, ci si approccia al problema in modo troppo dogmatico o schematico e dunque le descrizioni rispecchiano più l’immagine epocale dell’esaurimento che l’esaurimento stesso.
Cosa doveva provare un monaco del XIV secolo che credeva che il suo esaurimento fosse peccaminoso? O un lavoratore del 1800 che subiva lo stravolgimento dell’alimentazione e del sonno? In che modo il suo esaurimento era diverso da quello di oggi, vissuto spesso fissando il monitor di un computer, con la testa incassata nelle spalle, controllando periodicamente le mail, le notizie e i social?
Quando di uno stato d’animo si riesce a mettere insieme teoria ed esperienza vissuta, ci si avvicina ad una materia infinitamente preziosa…
Il Videoconsulto Psicologico-Esistenziale
E’ questo l’obiettivo del Videoconsulto Psicologico-Esistenziale con la Dott. Gili Maria Luisa, Psichiatra e Psicoterapeuta. Un breve percorso di ricerca insieme al Medico permette di riprendere in mano la propria esistenza e di riconoscere il senso esistenziale del proprio vissuto personale, nel contesto del disagio epocale. L’esaurimento segnala l’affievolirsi di un certo modo di essere e contiene in sè il germoglio, spesso coperto da demoralizzazione, di una nuova direzione. Il dialogo psicologico porta alla luce il fermento interiore. Si può superare, insieme all’esaurimento psico-fisico, quel “qualcosa che non va più”, un qualcosa dentro di sè e/o fuori di sè. E così l‘evoluzione personale, così complessa in questa nostra epoca, procede…