Omeopatia Dinamica

Depressione junk-food correlata, sei quel che mangi?

Studi appartenenti al SUN Project (University of Navarra Diet and Lifestyle Tracking Program) dimostrano che l’apporto di junk food (cibo industriale con ingredienti ad alto contenuto calorico e basso contenuto nutrizionale come patatine, snack, merendine, molti cibi di fast food, dolciumi, etc) ha significative implicazioni non solo sulla salute fisica (obesità e malattie cardiovascolari), ma anche sulla salute mentale: una cosiddetta “dieta da fast food” aumenta il rischio di depressione del 40-50%  in soggetti che non avevano sofferto di depressione in precedenza. Un alto consumo di cibi già cucinati o fritti, sottoposti al processo di degradazione degli oli noto come idrogenazione, apporta molti grassi di transizione, responsabili  di un drammatico incremento di patologia depressiva in adulti e bambini.

La spiegazione risiede nella composizione stessa del tessuto cerebrale che ha spiccata componente lipidica: in assenza dei cosiddetti grassi buoni contenuti in cibi sani, l’organismo è costretto a utilizzare grassi scadenti come i grassi idrogenati; ne conseguono alterazioni dei neurotrasmettitori e dell’attività elettrica cerebrale. E’ emerso che il rischio di depressione esiste anche per un consumo moderato e che è proporzionale alla quantità di junk food abitualmente assunta.

La cosiddetta “dieta da fast food” diventa talora irrinunciabile, nonostante evidenti effetti collaterali quali disturbi digestivi e sovrappeso. Infatti l’abitudine alimentare ai sapori artificiali può alterare il senso del gusto e l’istintiva ricerca di cibo sano. Inoltre il mangiare è anche un modo di  fare come fanno tutti e quindi non è facile cambiare stile alimentare.

Nel caso del junk food l’antico detto “ sei quel che mangi” non sembra proprio privo di fondamento!

 Almudena Sánchez-Villegas, Estefania Toledo, Jokin de Irala, Miguel Ruiz-Canela, Jorge Pla-Vidal, Miguel A Martínez-González. Fast-food and commercial baked goods consumption and the risk of depression. Public Health Nutrition, 2011; 15 (03): 424 DOI: http://dx.doi.org/10.1017/S1368980011001856