Liberamente tratto da “How Exhaustion Became a Status Symbol”, Hannah Rosefield su New Republic, 25/07/2016
Sfinimento, esaurimento.. concetti così vasti e vaghi da comprendere tanto “ho passato un paio di brutte notti” quanto un cedimento di nervi.
Spesso utilizzato da celebrità e persone in carriera, quasi come intercalare o come pubblica motivazione per un periodo di pausa, sembra essere un problema moderno. Ma la questione è più complessa; rilevante è che lo sfinimento-esaurimento, tenendo lontano dall’azione, ha assunto il doppio significato di debolezza e, al contempo, di segno distintivo di onorabilità.
Papa Benedetto XVI, emblema della nostra società
Esaurimento e sfinimento attraverso i secoli
Nel Rinascimento la melancolia era associata all’influenza di Saturno.
Nella seconda metà del XIX secolo, il concetto diagnostico di melancolia è stato assunto nel concetto di nevrastenia, causata da nervi deboli o esausti.
Capitalismo e tecnologia
Dal XVIII secolo medici e filosofi iniziarono ad interpretare l’esaurimento, non come debolezza del singolo individuo ma come un effetto dei cambiamenti della società. Tuttavia spesso chi si è maggiormente preoccupato delle “epidemie di esaurimento” era un conservatore, che si rifaceva a modi più antichi e anche spirituali per affrontare il problema.
Un segno distintivo: dalla grandiosità al burnout
Il neurologo americano George M. Beard, eminente teorico della nevrastenia, ha associato lo sfinimento-esaumento alla middle-upper class, descrivendo nel 1881 il tipo nevrastenico come avente «pelle sottile con peli morbidi, delicata, lineamenti graziosamente cesellati, ossa piccole… E’ il tipo civilizzato, raffinato, istruito, più che che il barbaro incolto di umili origini.»
Ecco dunque spiegato il fascino della nevrastenia, che prometteva e sanciva la superiorità di coloro che la ravvedevano in se stessi; i medici adulavano i pazienti mentre li trattavano.
Oggi l’esaurimento è ancora indice di status, ma di un tipo diverso. Dire che sei esausto è come telegrafare che sei importante, richiesto e di successo. E’ come vantarsi in modo modesto di essere «… così impegnati!» ….. ovvio!, dato che ai nostri giorni l’interpretazione dell’esaurimento è “conseguenza diretta di impegni eccessivi”
Negli anni ’70 il termine burnout indicava l’esaurimento dei lavoratori impiegati nel settore sociale, ed era caratterizzato da un aumento di cinismo e apatia con riduzione del senso di realizzazione personale.
Nel corso degli anni, in questa categoria sono stati inclusi tutti i lavoratori sovraccaricati, consumati.
Il burnout, causato dalle condizioni lavorative piuttosto che da un profilo psico-fisico del lavoratore, sarebbe la versione più “prestigiosa” della depressione. E in Germania, Svezia e Olanda è oggetto di periodico dibattito mediatico.
Il divario tra teoria ed esperienza di esaurimento nell’affaticamento cronico
La Schaffner indica, come massimo divario tra teoria ed esperienza, il caso dell’affaticamento cronico.
Medici e ricercatori concordano sull’esistenza di uno scatenante microbiologico per la sindrome da affaticamento cronico, che insorge spesso dopo una forma febbrile. Ma concordano anche sul fatto che le risposte comportamentali e psicologiche dei pazienti tendano a perpetuare la condizione. Detto in altre parole, la sindrome da affaticamento cronico sarebbe una malattia psicologica con sintomi fisici.
Lo storico della Medicina Edward Shorter sostiene che i pazienti assorbono l’immaginario medico e culturale del loro tempo e inconsciamente sviluppano sintomi psicosomatici che i medici prenderanno in considerazione.
Secondo Shorter dunque l’affaticamento cronico potrebbe essere una sindrome da conversione, con sintomi soggettivi (fatica, dolore muscolare) impossibili da smentire e in linea con quello che i «medici, sotto l’influenza del paradigma del sistema nervoso centrale si aspettano di vedere».
La narrazione dell’esperienza di esaurimento
I molti racconti autobiografici del vissuto di malattia correlato all’esaurimento riportati nel libro della Schaffner sottolineano il grande divario tra teoria e sperimentazione degli stati psicologici.
Nessuno dei modelli medici che la Schaffner cita si avvicina al senso di soffocamento e di “inaiutabilità” vissuto dal soggetto. Ma nemmeno i grandi lavori letterari che raffigurano personaggi con esaurimento (Divina Commedia e Canterbury Tales) riescono nel compito. Molto spesso, fino al XVIII secolo, ci si approccia al problema in modo troppo dogmatico o schematico e dunque le descrizioni rispecchiano più l’immagine epocale dell’esaurimento che l’esaurimento stesso.
Cosa doveva provare un monaco del XIV secolo che credeva che il suo esaurimento fosse peccaminoso? O un lavoratore del 1800 che subiva lo stravolgimento dell’alimentazione e del sonno? In che modo il suo esaurimento era diverso da quello di oggi, vissuto spesso fissando il monitor di un computer, con la testa incassata nelle spalle, controllando periodicamente le mail, le notizie e i social?
Quando di uno stato d’animo si riesce a mettere insieme teoria ed esperienza vissuta, ci si avvicina ad una materia infinitamente preziosa…
Il Videoconsulto Psicologico-Esistenziale